sabato 16 febbraio 2013

Cominciamo con una buona recensione: Me After You “Foughts”

Me  A f t e r  Y ou   Foughts” - Custom Made Music, aprile 2013
Track list:  1. Little Boy / Fat Man   2. Out of My Mind   3. Guilty in Love   4. Wipe the Blood  
                  5. Retrospecting 6. Il Primo Dio   7. Someone to Hate   8. Revolt!   9. MAMA   10. 3                             


                                                                                                                                                                                                                                                                          -   Voto:  **** / 5

L’erotismo sconsacrato di “Foughts”, album di debutto dei Me After You - duo italo-australiano di casa a Copenhagen, insieme dal 2010 dopo l’esperienza comune nei Last Nights Scars -  viaggia sotto pelle fin dall’overture di “Little Boy / Fat Man”, giusto prologo alle due anime del disco, introspettiva l’una e vibrante l’altra, sullo sfondo di una stanza d’albergo, nel riflesso opaco di un bicchiere di bourbon rovesciato, l’attimo prima di un’apocalisse privata.
La tensione sottesa, trattenuta a stento di certo post-rock subisce qui, attraverso le voci di Len e Fede, una metamorfosi parziale: è sofferta consapevolezza di quanto perduto per sempre e insieme – simultaneamente, nella stanza accanto – è l’orgogliosa pretesa  dell’irreversibilità dell’età adulta in quanto stasi creativa / terra di mezzo, forzatamente proiettata nel futuro.
Eppure nelle vene del suono che i Me After You auto-definiscono bluegaze scorrono i generi del passato che vide almeno due generazioni illuminate in una sola notte dal punk (ad eccezione di Strummer e compagni, oggi lo capiamo più di allora…) e ritrovatesi all’alba nelle stanze buie della new-wave. Così che mentre nell’incalzante  Out of my mind” Fede, da seconda voce, compone  e canta (cfr. Lee Ranaldo) svelando la propria passione per il tecno-pop impegnato degli anni ’80 (un attimo prima di Trent Reznor), “Retrospecting” di Len, retta sul precario equilibrio alcolico di un amore irrealizzato, pare piuttosto raccontare dell’angoscia che deve aver agitato le notti insonni di Ian Curtis.
Ciò che maggiormente colpisce di Foughts – non a caso sintesi acuta tra “pensieri” (Thoughs) e “combattuto” (Fought) – è la continua rincorsa verso il nulla e il ritorno ossessivo sui propri passi (pensieri combattuti o combattenti?), con la scelta voluta dell’andare perduti; è la sintesi perfetta tra il basso deviato di Len, che a tratti si finge chitarra, e i synth di Fede che si fingono basso, scossi entrambi dai legni della batteria, nella produzione scozzese di Andy Miller (Arab Strap, Mogway) che riesce nell’intento di dare al suono una profondità primitiva.  
Ciononostante “Wipe the Blood”, “Someone to Hate” e “MAMA” sono potenziali hit da indie club. Provare per credere: dopo qualche ascolto vi sorprenderete ad urlare: “Smoke up yr cygarettes / let’s live our lives / with no regrets!”. Oppure: “Rock, rock’s for the dumb / for the young / for the young and dumb!”.
Di contro “Guilty in love” suona come un lamento disperato, con la voce di Len che si allontana dal tono baritonale e diviene latrato straziante, colmata dal suono tirato del suo stesso basso.
A metà album “Il Primo Dio” è un omaggio sommesso e antico a quei Massimo Volume (Fede collaborò con Egle alla colonna sonora di Road Joke di Davide Rossi), e il luminoso omaggio a Carnevali di Mimì Clementi diviene qui, con un piglio à la Cave, rassegnata consapevolezza della perdita.

E se non ci fosse “Someone to hate” a fare da ponte si finirebbe dritti nella sconvolta “Revolt!” – più no-wave che new-wave -  sul fondo di una piscina vuota, bagnata appena da resti di gin e lacrime, in un cambio di stato verso un’ alba incerta e lontana.

MAMA” e “3” chiudono “Foughts” come è lecito aspettarsi, con le due differenti anime di un lavoro onesto, essenziale, che dal solco del post-punk si eleva al rango di piccolo classico. Se il rock così come lo conoscevamo ha ancora senso di esistere questo è uno dei modi possibili in cui può continuare a farlo. E non è casuale che la porta si chiuda svelando un numero: “3”, come la perfezione bramata, è una mano sul petto per cercare il respiro e scoprire che siamo ancora vivi, attraverso le immagini termiche dei nostri corpi, nello specchio oltre l’ombra del barman fantasma di Shining






Nessun commento:

Posta un commento